Saturday, November 03, 2012

Malpensa: i giochetti della navetta e del taxi



Nuovo esempio di delinquenza, questa volta con la complicità dell’autista della navetta.

"Gentile Severgnini, vorrei raccontare un episodio accadutomi al terminal 2 di Malpensa ieri sera, 31 ottobre, intorno alle 22.30. Ero in piedi dalle 4 del mattino ed ero stanco morto e infreddolito (pioveva). Volevo prendere il Malpensa Express per Milano, ma non avevo voglia di attendere la navetta per il T1, e allora mi sono avvicinato a uno dei taxi per chiedere un passaggio alla tariffa fissa di 15 euro. Mi si avvicina il taxista e mi chiede dove desidero andare. Alla mia risposta si rifiuta di accompagnarmi e mi indica la fermata della navetta (“gratuita”, sottolinea), assicurandomi che passa ogni due minuti. “Davvero?”, dico. “Sì, ogni cinque minuti”, mi conferma costui. Ma non erano due?, penso, rendendomi conto che, tra il rifiuto di farmi salire e quella quantificazione arbitraria dell’attesa qualcosa non quadrava. Dopo pochi secondi compare la navetta. Bene, mi rincuoro, allora aveva ragione lui. Insieme ad altri malcapitati vado alla fermata. Il guidatore però accelera e si ferma parecchi metri più in là, costringendoci alla rincorsa. Si aprono le porte, scende l’unica passeggera e le porte si richiudono subito mentre la navetta sgomma e se ne va vuota, lasciandoci tutti lì. Passano i minuti. Il freddo si fa pungente. Nessuna traccia di altre navette. Stanco com’ero, a malincuore decido di sottostare a quello che inizia a sembrarmi un ricatto. Rientro nel terminale, faccio un bancomat e torno ai taxi. “Lei dove vuole andare?”, mi fa un collega dell’ineffabile taxista di prima, che aveva sentito il nostro dialogo. “A Milano”, rispondo fumante di rabbia. “Ah, d’accordo”, annuisce lui, e a sua volta sale. Dopo venticinque minuti ero a casa, al costo di 90 euro. Per inciso: quando ho lasciato il piazzale i miei compagni di sventura erano ancora tutti in coda, alla faccia dei millantati due o cinque minuti di attesa. Trovo vergognoso che un tassista selezioni a priori i clienti a seconda della tariffa a cui dovranno sottostare."
Stefano Ferri

Da Italians, Corriere Online

Saturday, January 14, 2012

Liberalizzazione dei taxi. La torta e la mano invisibile del pasticcere




di Giacomo Reali
Su Forbes, qualche giorno fa, è stato pubblicato un articolo in cui è stato tradotto un estratto dal Corriere della Sera che riportava, in relazione a una recente segnalazione dell’Antitrust a governo e parlamento, la proposta dell’Istituto Bruno Leoni di liberalizzazione del trasporto taxi.La proposta, già depositata in parlamento nel 2006, è stata ripresentata lo scorso 21 dicembre dal deputato Gianni Vernetti (API) e si basa sull’aumento delle licenze in circolazione e sulla concessione di una nuova licenza gratuita ai tassisti già operanti nel mercato: un creativo e razionale compromesso tra la necessità e la giustizia incontrovertibile di aprire il mercato alla concorrenza e l’interesse altrettanto legittimo dei tassisti di continuare a gestire la loro licenza come un capitale.
Intanto, nel dibattito pubblico è stata posta la questione del “perché andare a disturbare i poveri tassisti, quando i settori da liberalizzare che contano di più sono altri come energia, ferrovie, poste, ecc.?”
Ma una cosa non esclude l’altra (e il decreto annunciato dal governo dovrebbe fare altrettanto) e se è vero che la liberalizzazione di alcuni settori strategici avrebbe un impatto più significativo, da ciò non segue che sia allora da rimandare o evitare quella del servizio taxi. E non è nemmeno vero che sarebbe un danno per i tassisti.
Dai commenti postati all’articolo comparso su Forbes si può risalire ad alcune differenze in termini di regolamentazione dei taxicabs negli Stati Uniti e sembrerebbe che alcune città americane, quanto a deregulation e quindi a prezzi e qualità del servizio di trasporto taxi, se la passino molto meglio di altre. È il caso, per esempio, di Phoenix, Arizona, dove la liberalizzazione ha portato a un apprezzabile calo dei prezzi, a un incremento dell’efficienza del servizio e, con qualche aggiustamento introdotto dall’amministrazione locale, anche alla garanzia della sicurezza. È una “open entry city” per i tassisti, i quali differenziano l’offerta del loro servizio per conto di agenzie o gestendone loro stessi una.
A New York, invece, la resistenza della categoria è così forte che nonostante le tariffe inaccessibili per molti abitanti e  le risapute inefficienze in diverse zone della città, a danno specialmente dei ceti più poveri e dei disabili, ci sono circa 1100 licenze in meno in circolazione dal 1937 e in ottobre 2011 il prezzo di una medallion (la licenza dei tassisti neworkesi) è arrivato a 1 milione di dollari, una “pura posizione di rendita” secondo gli economisti americani.
La letteratura – che non è solo quantitativamente, ma qualitativamente (poiché in prevalenza economica) a favore della liberalizzazione – fornisce studi teorici ed empirici che dimostrano che la concorrenza creata dall’apertura del mercato:
abbassa le tariffe;
eleva la qualità del servizio (decoro, affidabilità, sicurezza, onestà);
crea nuove nicchie di mercato più su misura per clienti con esigenze particolari, come i disabili;
come conseguenza di 1, 2, 3 aumenta la domanda.
L’analisi di particolari casi, inoltre, mostra come sia falso che la liberalizzazione sia la causa di fenomeni di fallimento di mercato e sovrabbondanza – che è pur vero che in alcuni casi si sono verificati – e dimostra che il mercato trae beneficio non da “se” ma da “come” avviene la liberalizzazione.
Ritornando al caso italiano, il “Parlamentino” dei tassisti, che riunisce 19 sigle fra sindacati e cooperative del settore, ha indetto lo sciopero nazionale per il 23 gennaio.
È stato deciso di adottare una posizione di resistenza forzata e un atteggiamento acritico rifiutandosi di valutare come si procede a liberalizzare. Eppure, proprio la qualità della liberalizzazione proposta dall’Istituto Bruno Leoni creerebbe delle condizioni vantaggiose sia per i tassisti già sul mercato, sia per i consumatori.
Ricevere una seconda licenza, come viene proposto, per i tassisti che già ne possiedono una non solo sarebbe la compensazione della perdita di valore della prima licenza, ma aprirebbe anche alla possibilità di gestire la seconda come un capitale da investire: vendendolo oppure affittandolo, aumentando quindi il volume d’affari e, per i più propensi alla libera intrapresa, anche l’imprenditorialità della propria attività.
La preoccupazione principale può essere riassunta in una considerazione fatta da un tassista che, intervistato da Ballarò, si è espresso affermando che “la torta è sempre quella” e quindi dividerla ulteriormente non può che svantaggiare l’attuale categoria tassinara.
Ma se di torta si parla, allora il tassista sbaglia a considerarla come rappresentativa della scarsità di lavoro per i tassisti. Le risorse scarse – stabilite in numero fisso – sono le licenze, quindi i taxi, non i clienti. Al contrario, all’aumentare del numero dei taxi i prezzi scendono e aumentano anche i consumatori, che significa nuove fette di mercato, nuove fette di torta.
Dunque, la liberalizzazione non produrrebbe danni ma nuove opportunità: nuovi clienti per i tassisti,  nuove possibilità di lavoro per i newcomers, servizio più efficiente e tariffe più basse per i consumatori, crescita economica nell’interesse collettivo grazie a un irrimandabile aumento di libertà economica (oggi L’Heritage Foundation ci ha informato che l’Italia è scesa al 92° dell’Index of Economic Freedom 2012).
Se, però, si inizia a dire che si sta andando “contro” i tassisti, che sono il “capro espiatorio delle liberalizzazioni” e che non fa la differenza come la farebbe intervenire su altri monopoli più importanti, si rischia il solito immobilismo del “prima quello, no prima quell’altro e ci sarebbe quell’altro ancora…”, si finisce allora che non si va da nessuna parte: è il caso di dirlo se si pensa a quando si attende un taxi in una giornata di pioggia o in altri casi frequenti di asimmetrie tra domanda e offerta.
A proposito, anche l’economia comportamentale fornisce argomenti a favore della liberalizzazione dei taxi. È stato condotto uno studio proprio sul comportamento economico dei tassisti di New York, che spiega perché nei giorni di maggiore domanda ci sia sistematicamente meno offerta di taxi. È stato osservato che i tassisti tendono a stabilire per ogni giornata un obiettivo di guadagno, raggiunto il quale terminano il servizio. Così capita che lavorano meno ore proprio nei giorni di maggior richiesta quando, infatti, riescono in meno tempo a raggiungere il loro obiettivo di guadagno quotidiano. Se si considera il calcolo economico, i tassisti dovrebbero calibrare lavoro e tempo libero in modo tale da lavorare di più quando il tasso di salario è più alto e consumare più tempo libero quando quest’ultimo “costa meno”, cioè quando il salario a cui si rinuncia è più basso, ma è risultato che avviene regolarmente il contrario.
La risposta dell’economia cognitiva è che gli individui, diversi dall’homo economicus, tendono a considerare la disutilità di una perdita maggiore dell’utilità di una vincita delle stesse dimensioni; è la Prospect Theory che è valsa a Daniel Kahneman, insieme a Vernon Smith, il Nobel per l’economia e per la quale il fallimento nel raggiungere l’obiettivo di guadagno della giornata è percepito da tassisti come una perdita da evitare lavorando più a lungo; mentre il superamento dell’obiettivo è percepito come una vincita, ottenuta la quale i tassisti sono meno incentivati a continuare il servizio.
La risposta della politica economica dovrebbe invece essere liberalizzare, perché la mano invisibile di Adam Smith del libero mercato, diversamente, non smette mai di lavorare.

Wednesday, January 11, 2012

Taxi 6378 rifiuta la corsa

Ieri sera un tassista all' aeroporto di Fiumicino si è rifiutato di effettuare la corsa per Ostia, perchè ritenuta troppo corta (circa 25€). Il suo numero di taxi è 6378. 

Anche il tassista seguente ha inizialmente protestato ma quando ha visto che ho fotografato il numero di targa ha preso la corsa, anche se poco volentieri. 

Il comportamento dei tassisti di Roma è disgustoso ed il servizio che offrono è pessimo. Mi auguro che denunciandone i comportamenti scorretti si ottengano dei risultati. 

In Fede, 

Christian Mascia

Questo è questo, per dirla con Michael Vronsky


Il concetto, cari tassisti, è molto semplice: siete pochi, siete cari, siete una categoria chiusa. In queste settimane sentiremo i tassisti ripetere, come stanno già cominciando a fare dopo le dichiarazioni sugli interventi imminenti di gennaio, che i taxi sono anche troppi, che ce ne sono tanti fermi in giro — «Guarda là, guarda te se sono pochi!» — e quello del tassista è un lavoro terribile, da proteggere.
Non c’è nemmeno bisogno di leggere un giornale o guardare la tv: chiunque di tanto in tanto abbia preso un taxi negli ultimi anni si è sentito proporre una menata infinita, non richiesta e penosa, sulla dura vita del tassista, sulla scarsa collaborazione delle istituzioni — tutto nello specchietto retrovisore — sul fatto che le tariffe notturne non siano così care (d’estate partono anche un’ora e mezza prima del tramonto, e a Milano sali che ci sono sei euro e mezzo così, gratis, sul tassametro). E non si capisce perché, se il lavoro fa così tanto schifo, non vadano a farne un altro. Perché poi a me cosa vuoi che me ne freghi se sei un tassista insoddisfatto. Essendoci al mondo il cancro, voglio dire, se devo preoccuparmi di problemi, francamente ho altre priorità.
Troviamo un ammortizzatore per chi ha comprato la licenza, e poi permettiamo a altri di fare quel mestiere, frequentare quel mercato, salire su un mezzo loro o altrui per cominciare a lavorare con un navigatore, una patente, un culo di pietra. Liberalizzarono il commercio, e i negozianti dicevano che la licenza era la loro liquidazione, fingendo di non sapere che la liquidazione è un diritto dei dipendenti, non degli imprenditori. Insomma Bersani agì, e i commercianti non poterono che mettersela via. Ora succederà lo stesso: i taxi non sono un patrimonio dell’Unesco. È molto semplice. E se i taxi sono troppi o pochi lo deciderà sapete chi? La gente, il mercato, i prezzi. E non c’è molto altro da dire: è così, lo sanno tutti, e gli unici che la pensano diversamente sono i tassisti. «È un lavoro schifoso, faticosissimo, un sacrificio senza guadagno, ma lo voglio fare solo io» non è la madre delle posizioni credibili. (Matteo Bordone)

Tuesday, January 03, 2012

Da Italians (Corriere Online) 14 Dicembre 2011


Pare che i tassisti ce l’abbiano fatta ancora una volta
Caro Beppe, pare che i tassisti ce l’abbiano fatta ancora una volta e che l’agognata (da tutti, fuorchè da loro) liberalizzazione non riuscirà a farla neppure il governo Monti. E se parlassimo un attimo di questa ‘benemerita’ professione? So bene che magari per te diverrà poi difficile prendere un taxi in qualunque città italiana (salvo indossare i baffi finti e la parrucca), però, possiamo ‘criminalizzare’ un attimino la categoria? Premesso che, ne sono convinto, esistono tassisti onesti e corretti, l’esperienza mia (e probabilmente tua, nonchè di tutti – dico tutti – i miei amici e conoscenti) è la stessa, identica, raccontata tante volte da “Striscia la Notizia”. Non tutti ma tanti, troppi, dimenticano il tassametro, soprattutto se il passeggero è un ignaro turista orientale. L’esempio più famigerato è quello del volo Tokyo-Roma (i cui passeggeri giapponesi vengono trasportati in centro per ‘appena’ 200€ senza tassametro): che misure sono state prese dalle autorità e dalle associazioni di categorie? Continuando: non tutti ma tanti, troppi, rifiutano corse meno appetitose di altre, schivando i vari obblighi di legge e regolamenti comunali. Tanti, troppi, non rispettano le regole di circolazione e di stazionamento. Tanti, troppi, hanno comportamenti fra lo scortese e il maleducato. Sbaglio? Forse, ma se invece è vero, siamo sicuri che sia sconveniente ‘criminalizzare’ questa categoria, che fra l’altro rappresenta uno dei biglietti da visita del nostro Paese rispetto a turisti e uomini d’affari del mondo intero? Io invece proporrei proprio di “criminalizzarla”, tentando così di far aumentare in maniera considerevole il numero di tassisti onesti e corretti che, ripeto, esistono di sicuro. Chiudo rallegrandomi del fatto che “Italians” pubblichi le firme ma non le foto di chi scrive: anch’io ho bisogno di prendere i taxi… Cordialmente,
Marco Pisano

NON SALITE su Taxi con targa DA16.... (purtroppo manca il resto)


(Dal Corriere Online del 3 Gennaio 2012) 
Fiumicino-Pigneto, la truffa del taxi
Vittima una coppia romana il 1° gennaio: corsa da 130 euro (con minacce). Tassametro manomesso negli ultimi 500 metri la banconota da 50 che si trasforma in un pezzo da 10


ROMA - Buon anno, caro cliente. Per salutare l’arrivo del 2012, il conto è servito: 130 euro per una corsa in taxi da Fiumicino al Pigneto, e comprese nel prezzo una «accelerata» a rotta di collo fino ai 200 chilometri orari, due scatti supplementari manomettendo il tassametro negli ultimi 500 metri, l’intimidazione della signora a bordo e il funambolico raggiro finale dello scambio di banconote, che neanche i bari delle «tre carte» ne sarebbero capaci.
Taxi truffa, ci risiamo.
Alla vigilia degli aumenti dei prezzi delle corse, che il Campidoglio si appresta a ratificare la settimana prossima, l’ultima disavventura capitata a una coppia di romani ha dell’incredibile.

Ore 23.30 di domenica, primo gennaio, aeroporto Leonardo da Vinci: il «biglietto da visita» della Capitale. «Io e mia moglie eravamo stati a Istanbul per Capodanno - racconta D., funzionario di una importante società privata - e l’aereo aveva fatto ritardo. Stavamo aspettando un taxi fuori, accanto alla corsia riservata, quando un’auto bianca con la scritta “6645” sulla fiancata si avvicina e l’autista ci dice che era a fine servizio e stava rientrando a Roma con suo cugino. Eravamo stanchi, la vettura sembrava regolare e ci siamo fidati. Poveri noi».

Una volta a bordo, bastano pochi secondi alla giovane coppia per capire di essersi messa in un guaio. «Il tassista, sui 25-30 anni, e il complice, di poco più grande, bofonchiano tra loro. Uno dice all’altro: molti un taxi con due persone non lo prendono. Oppure: di notte non si sa mai chi incontri. Parlavano a bassa voce, mi dà l’idea che volevano intimidirci». Il cliente sul sedile posteriore, adesso, è davvero preoccupato: si avvicina alla moglie e le stringe la mano. «Oddio, speriamo bene». Dopo la rampa, il taxi imbocca la Roma-Fiumicino: neanche venti chilometri, ma sembra Vallelunga. «Noi paralizzati dietro, con gli occhi puntati sul contachilometri, e la velocità che continuava a salire. È arrivato a 200 all’ora. Terrificante».

Intanto il tassametro correva: Eur, Cristoforo Colombo, San Giovanni... «Noi abitiamo nel primo tratto della Casilina, e a Porta Maggiore la cifra raggiunta era di 71 euro». Ancora poco, evidentemente. «È stato a quel punto che mi sono accorto che il tassista giocherellava con il tassametro. Nel giro di pochi metri il conto è salito a 83 euro, poi io ho chiesto di fermarci un po’ prima, per non fargli vedere il portone, e un’ultima manomissione lo ha portato a 90».

Oplà, la stangata era fatta. Non ancora: «Terrorizzati, con l’unico desiderio di scappare e chiuderci al sicuro dentro casa, gli ho dato una banconote da 50, una da venti e due da dieci. Lui se li è messi in tasca e un attimo dopo li ha ritirati fuori». La banconota da 50 non c’era più. «Ti sei sbagliato, mi hai dato 10 e non 50», fa il tassista impostore. «Neanche per sogno, sono sicurissimo!». La moglie intanto era scesa dall’auto e...
«Il compare, con aria minacciosa, senza fiatare, le si è avvicinato. Io lo seguivo con la coda dell’occhio. Mi sono detto: finisce male, chiudiamola qui. Allora ho tirato fuori altri 50 e lui, beffardamente, mi ha dato il resto di dieci». Totale 130 euro, appunto.

Dettaglio non ininfluente: la targa. Il cliente l’ha segnata ed è andato subito al commissariato Porta Maggiore. «Torni domani per formalizzare la denuncia», gli hanno detto. Al Pra l’auto risulta intestata a «Nuova tassistica 2001 società cooperativa». La targa, a beneficio dei prossimi malcapitati, inizia con le lettere «DA» e prosegue con «16...». Fine della storia.

Ma insomma. E adesso? Le tariffe delle auto bianche sono ferme da qualche anno, è vero: sarebbe ingiusto negare alla maggioranza di tassisti onesti l’adeguamento legato agli aumenti dei costi, benzina, assicurazione e il resto. Ma la sicurezza dei clienti? E i controlli? E le sanzioni contro i tanti, troppi delinquenti al volante che, non dimentichiamolo, sono concessionari di un servizio pubblico? E la figuraccia che la capitale d’Italia si regala agli occhi delle migliaia di turisti, e anche dei molti romani, catapultati in viaggi da incubo?

Fabrizio Peronaci